BIO

Il mio lavoro indaga attraverso la manipolazione sperimentale della fotografia, i concetti di verità, di memoria e di ricordo. Il sovrapporsi delle riminiscenze, la frammentazione e la mescolanza delle verità che scaturiscono dal nostro vissuto danno luogo a immagini che si discostano dalla fotografia pura.
Autodidatta, ho iniziato a lavorare da professionista intorno al 1988 e aperto il mio primo studio nel 1990.
Fra il 1990 e il 2000 sono state varie le collaborazioni importanti con professionisti, riviste e case editrici.
Nel 2000 mi trasferisco in Haiti, terra natale di mio papà, dove continuo il mio lavoro artistico. Nel 2003 il mio lavoro è all’interno del libro Mapas Abierto sulla storia della fotografia latino americana; nel 2005, al Salon du Cinquantenaire de Montrouge in Francia, vinco il premio della giuria e nel 2006 il mio lavoro appare sul libro Estrecho Dudos sull’arte contemporanea in America Centrale.
Seguono varie apparizioni su cataloghi di mostre importanti e la pubblicazione di 4 libri personali.
Dal 2021 sono di ritorno a Roma.

LA VISIONE

Avevo sedici anni quando la fotografia entrò nella mia vita. Scattare, sviluppare e poi stampare erano esperienze forti e prodigiose. La fotografia era diversa dalla pittura e dal disegno perchè aveva qualcosa di magico e misterioso che risiedeva nell’attesa fra lo scatto e il momento della visualizzazione della stampa e nell’incertezza del risultato. C’erano anche le due fasi della creazione, una in fase di scatto con l’inquadratura e l’illuminazione e l’altra in fase di sviluppo e stampa all’interno della camera oscura, una camera dove si stava da soli, illuminati da una luce fioca e rossastra, respirando vapori tossici di prodotti chimici, osservando le immagini apparire sulla carta come dei fantasmi venuti da altre realtà. Tutto ciò era assolutamente elettrizzante!
La camera oscura era un luogo di avventure e esperienze artistiche così come lo era il mondo al di fuori, dalla mia stanza al mio quartiera alla mia città.
Ho poi scoperto il lavoro di maestri come Irving Penn e Man Ray. I loro soggetti erano semplici oggetti della vita di ogni giorno e la loro poetica me la sentivo vicina.
Con il tempo ho scoperto che c’era chi, a mio grande orgoglio, era disposto a pagare per le mie creazioni, ma con il tempo, insieme, vennero anche le aspettative dei clienti e ciò cambiò le carte in tavola.
Fu il momento di diventare serio, affidabile, coscienzioso e responsabile, così mi specializzai in fotografia di architettura. La fotografia professionale d’architettura è molto tecnica dove niente può essere lasciato al caso e dove non si possono prendere rischi. La meticolosità e precisione tecnica mi piacevano ma ero arrivato al punto in cui i tecnicismi mi stavano schiacciando, così decisi di lasciarmi andare e assumere i rischi del caso: decisi di fare il mio “coming out” come artista. Era il 1997, avevo 33 anni e Roma non era il miglior posto per l’essere e lo sviluppo di un artista.
Era l’ultima decade del millennio, io fotografavo con un banco ottico 4×5″ delle lastre all’infrarosso e avevo una camera oscura equipaggiata di tutto punto.
La mia prima mostra è stata sulle periferie urbane di Roma, scattata con delle lastre all’infrarosso e stampata con una tecnica sperimentale di camera oscura che arrivava a dare una luce surreale alle fotografie. Il mio maestro spirituale fu Gabriele Basilico ma non volevo copiare il suo lavoro, volevo andare oltre.
In quegli anni ho iniziato a sviluppare la mia poetica.
… non è sperare in un mondo migliore,
il mio è più un viaggio nel lato nascosto della realtà.
Non cerco di cambiare le cose,
Non cerco di farle apparire quello che non sono,
Semplicemente restituire alle cose la poesia che appartiene loro
che qualche tipo di forma-mentis le ha portato via.
Forse cerco di ristabilire uno sguardo da vicino sulle cose,
come quando siamo in una folla e cerchiamo qualcuno
e lo sguardo va sempre troppo lontano.
Forse è come la sensazione che si ha nuotando nel fango.
dove tutto avviene al rallentatore.
C’è una realtà nascosta che si rivela alla macchina fotografica attraverso i miei occhi. L’idea è quella di svelare con la macchina la poesia propria della scena e restituirla all’immagine. Si entra nella scena in punta di piedi e invisibili. In quelle condizioni, il palcoscenico del reale, non consapevole dell’intrusione, si offre senza restrizioni e ci rende partecipi dei suoi segreti. La realtà esiste solo nella mente di ogniuno di noi, quindi le mie fotografie sono registrazioni della realtà, si, ma della realtà secondo il mio punto di vista. Io sono quindi autorizzato a modificare la scena a mio piacimento aggiungendo o sottraendo dall’immagine iniziale.
Ho bisogno che l’opera mi faccia sognare. Deve proiettarmi in un mondo indefinito così da portarmi oltre quello che gli occhi vedono.
Fra il 1998 e il 2000 ho vissuto a Londra e lì mi sono avvicinato al digitale attraverso lo scanner e photoshop. La mia camera oscura non era più oscura.
Nel 2000 atterrai in Haiti, la terra di mio padre. Ero lì per restarci.
Nel frattempo, visto che il digitale in fotografia stava avanzando a grandi passi, io decisi di fare il passo e lasciare l’analogico anche perchè vivendo in Haiti mi semplificava di parecchio la vita.
Il paesaggio urbano di Port-au-Prince era il mio mondo e i miei strumenti erano la mia reflex digitale e il mio laptop. Avevo bisogno di andare oltre l’immobilità delle immagini fotografiche; avevo bisogno di gente e di movimento e caos ordinato. Stavo cercando di ricreare ritmo e musica.
Poi il 12 gennaio del 2010 Port-auPrince fu scossa da un forte terremoto che distrusse mezza città e fece migliaia di vittime. Mi sentivi perso e fu un momento molto difficile da gestire. Sentivo che Haiti aveva bisogno di rispetto e lealtà. Giornali e riviste dai paesi più disparati, mi contattavano per avere immagini del disastro da dare ai media per sensibilizzare l’opinione pubblica il che avrebbe implicato guadagno e gloria sulle spalle dei miei fratelli e sorelle morte sotto le macerie. Non potevo concepire l’idea di vendere la loro sciagura e il loro dolore. Sentivo di dover agire con rispetto.
Persino la sperimentazione stilistica si arrestò perchè considerata da me un momento ludico e quello non era il momento per divertirsi. Le mie foto dovevano essere degli scatti diretti senza ulteriori manipolazioni.
Dal 2021 sono di ritorno a Roma. Respiro questa città mandata in rovina dall’incompetenza dello stato.
Una nuova era nella mia vita artistica che intraprendo senza negare nè dimenticare il mio passato.

BIO

Nasco a Roma nel 1964 da padre haitiano e madre italiana. ho vissuto a Roma, Aleppo (Siria), Amman (Giordania), New York (USA)Ahmedabad (India), Londra (Regno Unito) e a Port-au-Prince (Haiti) dal 2000 al 2021. Ora di ritorno a Roma. Il tirocinio l’ho fatto come assistente di Giorgio de Camillis, esperto in still-life, e poi di Fiorenzo Niccoli, fotografo di moda e ritrattista fra l’ ’84 e l’ ’87.  Nel 1988, una volta in proprio, inizio a fotografare architettura di interni lavorando principalmente con architetti e riviste di settore. Fra il ’91 e il ’93 collaboro con la casa editrice La Meridiana a una collana sull’architettura e dal 1992 al 1997 con la rivista Il Nuovo Corriere dei Costruttori, organo dell’ ANCE diretto da Alfredo Martini.

In quegli anni scopro le fotografie di Gabriele Basilico che mi trasmettono la passione per il paesaggio urbano. Nel 1994 fotografo il centro storico di Palermo che verrà poi esposto al Film Center Building di New York nel 1995. Nel 1996, durante una permanenza a New York lavoro nel laboratorio di sviluppo e stampa professionale di Ken Taranto (Tarantolabs) dove imparo alcune tecniche particolari di stampa in bianco e nero poi usate fra il ’98 e il 2000 a iniziare dalla mostra: “casalbruciatopiazzavittorio“, un lavoro sul paesaggio urbano della periferia romana fotografato in 4×5” all’infrarosso, esposto alla galleria Raccolta di Sandro Fogli a Roma, con catalogo curato da Viviana Gravano e testi critici di Achille Bonito Oliva e Pippo Ciorra.

Nel 1998, ancora sotto la direzione artistica di Achille Bonito Oliva, espongo alla Fondazione Orestiadi di Gibellina fotografie della cittadina stessa dopo la ricostruzione post terremoto del 1968. Sempre di quell’anno è stato il lavoro sul paesaggio urbano di Sabaudia sotto la guida del professor Giorgio Muratore per il libro Sabaudia, 1934; Il sogno di una città nuova e l’architettura razionalista e di una partecipazione alla prima ”BIENNALE PARCHI NATURA’‘ al Palazzo delle Esposizioni di Roma curata da Achille Bonito Oliva e Umberto Scrocca. Fra il 1998 e il 2000 lavoro a “Roma impacchettata”, fotografie dei palazzi e chiese di Roma coperti dai veli delle impalcature poste per i restauri e pulizie delle facciate in previsione del grande turismo religioso del Gran Giubileo del 2000. Questo lavoro fu pubblicato dalla riviste Modo e The world of Interiors e dal giornale Il Manifesto. Fra il 1998 e il 2000 sono a Londra dove collaboro con il giornale The Guardian e la rivista Domus di Milano.Nel 2000 mi trasferisco in Haiti dove espongo, lo stesso anno, le fotografie della mostra L’Etre et la nuance (bianco e nero all’infrarosso in 4×5″) che ricevono, l’anno successivo, una medaglia d’oro alla IV Bienal del Caribe a Santo Domingo in Repubblica Domenicana.

Nel 2000, con il mio trasferimento a Port-au-Prince, termina per me l’uso della pellicola, del banco ottico e del bianco e nero.

In Haiti mi sono presto reso conto che l’uso dell’analogico a livello professionale non era praticabile per questioni logistiche: il materiale negativo e i prodotti chimici dovevano essere importati dagli Stati Uniti; assenza di laboratori di sviluppo e stampa professionali e pochissima disponibilità d’acqua di cui il processo di sviluppo e stampa in bianco e nero necessita in quantità. Fortunatamente in quegli anni il digitale in fotografia è sufficentemente avanzato e abordabile da permettermi di equipaggiarmici anche se la qualità dei files era piùttosto scarsa soprattutto comparata alla qualità dei negativi da banco ottico. Cerco un espediente e lo trovo nel collage dei files al computer. I collages di David Hockney mi avevano già aperto alla poetica della frammentazione dell’immagine. Usando la tecnica delle panoramiche a collage, scattai le fotografie per il libro Intérieurs d’Haïti che ebbe un enorme successo di pubblico e contemporaneamente le fotografie panoramiche del lavoro sul paesaggio urbano di Port-au-Prince che vinse un premio alla V Biennale della fotografia di Bamako nel 2005.

Questa tecnica di collage senza bordi visibili la usai anche per dei ritratti nei quali mettevo insieme pezzi di facce di persone diverse. Anche quel progetto fu esposto parecchie volte e premiato al V Salone d’Arte Contemporanea di Montrouge in Francia.

Nel 2005, volendo sfidare me stesso su un tema a me non congeniale, inizio un lavoro sul paesaggio naturale di Haiti che durerà 10 anni per concludersi con l’edizione del libro Peyizaj. In questo lavoro mi pongo come un viaggiatore ai tempi della scoperta del continente americano, che osserva con occhio di meraviglia la natura incontaminata dell’isola. Alle immagini ho affiancato delle descrizioni del paesaggio dell’isola fatte da viaggiatori fra il 1493 e il 2013

Ci sono delle cose che ci colpiscono in un momento della vita e che poi crediamo di aver dimenticato ma che un giorno, inaspettatamente, tornano alla ribalta e ricominciano a lavorarci dentro. Così fu per un ritratto di un fotografo, visto anni prima, forse di Richard Avedon, forse. Ne ero stato affascinato e cercai la maniera di ottenere la stessa forza emotiva. Usando gli stessi parametri (taglio stretto, fronte tagliata e sfondo bianco), iniziai a fare ritratti delle persone intorno a me. Questo lavoro fu parzialmente esposto nella mostra che il Museo delle Culture di Lugano mi dedicò nel 2012, ora conta più di 600 ritratti.

Poi, il 12 gennaio del 2010, alle 17.45, il terremoto.

Io ero lì. Scosse il paese e la città e i miei amici e la mia famiglia, e scosse me. Fu un momento molto complicato. Giornali e riviste mi contattarono per avere immagini della tragedia ma non potevo sopportare l’idea di fare soldi o di guadagnare fama sulle spalle della mia stessa gente vendendo immagini commoventi al resto del mondo. Ero sotto shock e mi ci vollero dei giorni prima di riuscire ad avventurarmi fra le macerie per fotografare. Alla fine andai e cercai di essere il meno invadente possibile, in silenzio e con rispetto. Non era il momento di giocare con gli sperimentalismi e quegli scenari di morte meritavano un riguardo particolare.

Il terremoto portò distruzione. La città, con i suoi palazzi erano rasi al suolo o troppo fragilizzati da continuare ad abitarci dentro. Le persone lasciarono le abitazione e fecero di ogni area verde della città, un accampamento. Quelle tendopoli mi colpirono immediatamente per la loro leggerezza, la loro grazia, la loro dignità e il loro senso estetico.

Nel 2011 inizio a lavorare a Made in Ayiti fotografando oggetti e utensili usati principalmente dai venditori ambulanti per espletare i loro commerci su strada, tutti oggetti costriuti da materiale di riciclo. Questo lavoro lo pubblico nel 2016 nel libro omonimo.

Nel 2019, con l’aiuto del Prince Claus Fund, inizio un progetto sulla mistica all’interno della medicina naturale in Haiti. Purtroppo questo lavoro sarà interrotto dal complicarsi della situazione socio-politica in Haiti che costrinse la nostra famiglia a lasciare il paese.

Di ritorno in Italia torno anche a sperimentare e ad ascoltare gli spazi urbani e cercare di capire che cosa hanno da comunicarci.


EXHIBITIONS

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1991/93 La Meridiana

1992 Interni 1

1992 Interni 2

1992 Interni 3

1992/97 Il Nuovo Corriere dei Costruttori

1993 Recupero edilizio e archeologia industriale 1

1993 Recupero edilizio e archeologia industriale 2

1993 Recupero edilizio e archeologia industriale 3

1998 Alias – Il Manifesto 1

1998 Alias – Il Manifesto 2

1998 Ex Deta Lazzeri di Pisa 1

1998 Ex Deta Lazzeri di Pisa 2

1998 Ex Deta Lazzeri di Pisa 3

1998 Ex Deta Lazzeri di Pisa 4

1998 Modo 1

1998 Modo 2

1998 Modo 3

2009 Fer forgé – Battito di Haiti 1

2009 Fer forgé – Battito di Haiti 2

1999 Space – The Guardian 1

1999 Space – The Guardian 2

1999 Space – The Guardian 3

2000 Architecture Contemporaine 1

2000 Architecture Contemporaine 2

2000 Audience Magazine

2000 Domus 1

2000 Domus 2

2000 Domus 3

2000 Domus 4

2000 Domus 5

2000 Interiors 1

2000 Interiors 1

2000 Interiors 2

2000 Interiors 3

2000 Interiors 4

2000 Lionel St. Eloi, catalogue

2002 Cariforum 1

2002 Cariforum 2

2002 Cariforum 3

2003 Etter Columbus 1

2003 Etter Columbus 2

2003 International Photo Magazine 1

2003 International Photo Magazine 2

2003 Interni 1

2003 Interni 2

2003 Interni 3

2003 Intérieurs d'Haiti -1

2003 Intérieurs d'Haiti -2

2003 Intérieurs d'Haiti -3

2003 Intérieurs d'Haiti -4

2003 Mapas Abierto fotografia latino americana 1

2003 Mapas Abierto fotografia latino americana 2

2004 Alias – Il Manifesto 1

2004 Alias – Il Manifesto 2

2004 Les communautés haïtiennes aux yeux des enfants 1

2004 Les communautés haïtiennes aux yeux des enfants 2

2005 Le Monde 1

2005 Le Monde 2

2005 Salon du cinquantenaire 1

2005 Salon du cinquantenaire 2

2006 Estrecho Dudos 1

2006 Estrecho Dudos 13

2006 Estrecho Dudos 2

2006 Novena bienal de La Habana 1

2006 Novena bienal de La Habana 2

2007 Bamako 1

2007 Bamako 2

2007 Bamako 3

2008 Peyizaj 1

2008 Peyizaj 2

2008 Peyizaj 3

2008 Peyizaj 4

2008 Peyizaj 5

2008 Port-au-Prince (regards croisés) 1

2008 Port-au-Prince (regards croisés) 2

2011 HAITI Roberto Stephenson Fotografie 2000-2010 1

2011 HAITI Roberto Stephenson Fotografie 2000-2010 2

2011 Pluriel magazine

2012 La chambre de Mario Benjamin 1

2012 La chambre de Mario Benjamin 2

2012 La chambre de Mario Benjamin 3

2012 Pluriel magazine

2014 Rencontres Photographiques de Guyane 1

2014 Rencontres Photographiques de Guyane 2

2011 HAITI Roberto Stephenson Fotografie 2000-2010 3

2008 Peyizaj 6

CV

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